La Disprassia

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Relazione del seminario “LA  DISPRASSIA ”

“Tutti giù per terra”

Nei disturbi pervasivi dello sviluppo spesso è presente, oltre alle sintomatologie tipiche del disturbo, anche una forte disprassia. È per questo che la cooperativa Tutti giù per terra ha voluto far approfondire la tematica della disprassia con questo seminario.
Nel DSM IV la DISPRASSIA è classificata all’interno dei DCM, ovvero come Disturbo evolutivo della Coordinazione Motoria, caratterizzato dalla coesistenza di problemi relativi alla non coordinazione motoria e problemi percettivi.
Per la diagnosi sono previsti i seguenti criteri:
– una marcata difficoltà o ritardo nello sviluppo della coordinazione motoria; le performance risultano inferiori rispetto a un bambino normale comparando i dati sia per età mentale che per età cronologica;
–  le difficoltà motorie non sono dovute a condizioni mediche generali;
– queste difficoltà interferiscono con l’apprendimento accademico e con le attività della vita quotidiana.
Il termine PRASSIA è inteso come abilità nel compiere un gesto.
Per DISPRASSIA, quindi, s’intende un deficit dei movimenti volontari in assenza di deficit sensoriali, motori e cognitivi. Rispetto a questa diagnosi di esclusione, il “bambino goffo” è inteso come un bambino normale rispetto alle competenze cognitive ma con grosse difficoltà nell’esecuzione di movimenti volontari e organizzati al fine di un preciso scopo. In questo senso la disprassia viene intesa come disordine di integrazione sensoriale che interferisce con le abilità di rappresentare mentalmente, programmare ed eseguire compiti motori.
È utile ricordare che il bambino disprattico ha un QI nella norma, ma vi è una differenza tra QI VERBALE e QI DI PERFORMANCE a favore del primo, dato che il soggetto spesso non sa come iniziare un compito perchè manca di strategie di organizzazione e di controllo.
Si distinguono due tipi di disprassia:
– IDEATIVA: il bambino ha grosse difficoltà a rappresentare e rievocare correttamente un programma motorio.
– ESECUTIVA: il bambino non è in grado di organizzare sul piano temporo-spaziale una corretta sequenza nella risposta motoria.
Possiamo parlare, inoltre, di:
DISPRASSIA PRIMARIA: specifico quadro sindromico che risponde ai criteri diagnostici suddetti (vedi DSM IV);
DISPRASSIA SECONDARIA: patologie maggiori (disturbo pervasivo dello sviluppo, ADHD, sindrome di Williams, ecc.) che presentano anche sintomi relativi a disfunzioni dei sistemi di pianificazione dell’atto motorio volontario.
Si possono distinguere diversi livelli di controllo motorio durante l’esecuzione dei movimenti; questi livelli sono gestiti da aree e strutture cerebrali differenti.
Il primo livello è gestito da tre aree della corteccia cerebrale:
– corteccia motoria primaria:  deputata ad iniziare il movimento;
– area premotoria e area motoria supplementare: implicate nella programmazione di sequenze motorie complesse, inviano segnali anche alla corteccia motoria primaria e realizzano funzioni importanti per la pianificazione e coordinazione di sequenze motorie complesse. Inoltre, queste due aree sono informate dalla corteccia parietale posteriore circa l’orientamento e gli aspetti spaziali del movimento;
– corteccia premotoria: gestisce la preparazione dei muscoli per l’inizio del movimento e per l’orientamento del corpo verso uno stimolo target.
Esistono altre due strutture importanti nella regolazione dell’attività motoria:
-cervelletto: svolge una funzione di controllo basata su un confronto tra la pianificazione del movimento con un relativo feed-forward interno e le informazioni provenienti dalla periferia;
-gangli della base: deputati alla comprensione del tipo di sequenza motoria da adottare per raggiungere l’obbiettivo dell’ azione motoria.
Nell’ottica di una così ampia multicomponenzialità ogni atto motorio costituisce un atto unico e irrepetibile: si tratta di un sistema complesso in cui non è possibile prevedere il comportamento globale a partire dal contributo dei singoli elementi.
L’eziologia della disprassia è ancora poco definita, spesso però viene evidenziata una familiarità che farebbe pensare a una componente genetica. In alcuni studi viene messa in evidenza che nel 50% dei casi vi sono problemi in gravidanza o durante il parto, inoltre si sottolineano casi di disprassia in bambini pre-maturi o post-maturi.
Secondo altri autori alcune parti del sistema nervoso non sono sufficientemente mature da permettere di seguire un programma dall’inizio alla fine senza che avvenga un’interruzione della trasmissione sinaptica o senza che il processo venga sfalsato per eccessiva lentezza della trasmissione.
Il processamento dell’informazione appare più lento e, seppur rivolto a uno specifico arto, il messaggio in qualche forma arriva anche ad altri segmenti corporei. Questo comporta una mancata capacità di selezionare e decodificare in modo chiaro e pulito il movimento da realizzare.
L’apprendimento di schemi motori  si evolve a partire da comportamenti riflessi o istintivi, i comportamenti riflessi si trasformano in atti intenzionali dopo che il bambino ha potuto verificare quali adattamenti comportamentali gli procurano soddisfazione. L’intenzionalità porta alla formulazione di un programma per autoregolare il proprio organismo e realizzare la sequenza motoria: questa competenza si chiama metacognizione: consapevolezza e controllo di se stessi e dei propri processi interni come capacità di pianificazione. L’intenzione coincide con il feed-forward, cioè con una rappresentazione mentale dell’attività e con la programmazione degli atti sequenziali indispensabili per realizzarla.
La sequenza deficitaria degli atti motori può essere dovuta a un mancato feed-forward  che porta a non crearsi mentalmente la programmazione di questi.
La povertà delle strategie in soggetti disprattici, cioè la stereotipia del loro comportamento, impedisce di acquisire nuovi compiti trasferendo per analogia soluzioni strategiche già acquisite. Essi, cioè, imparano una cosa per volta in un certo modo e solo in quel modo, senza realizzare soluzioni alternative.
La mancata acquisizione di schemi motori può essere imputata a deficit di feed-back, cioè a una difficoltà di controllare ciascuna sequenza e l’intera attività nel corso dell’azione, oppure a un mancato sviluppo del  feed-forward.
Questa impostazione è fondamentale anche rispetto alla metodologia di base per la terapia: adeguare l’ambiente perché il bambino possa sperimentare con successo le proprie azioni e verificare il risultato, così da potenziare la capacità di costruire o migliorare funzioni adattive.
L’ABILITAZIONE e la RIABILITAZIONE hanno lo scopo di far raggiungere all’individuo un buon adattamento in risposta alle richieste ambientali.
Per funzioni adattive, infatti, s’intende l’insieme di funzioni necessarie per rispondere adeguatamente alle diverse condizioni dei contesti sociali e culturali:
FUNZIONI DI BASE: usare la vista, il tatto, il linguaggio, afferrare, nutrirsi, leggere, scrivere, ecc.
FUNZIONI PROCESSANTI: prevedere, ricordare, porre attenzione, programmare, controllare, ecc. .
Il terapista deve facilitare l’accesso alle informazioni ambientali, organizzando le procedure e ponendo dei quesiti cognitivi al soggetto in questione, relativi agli obiettivi da raggiungere, al confronto con le esperienze precedenti, al significato del compito da svolgere.
È questo un approccio, NEUROLOGICO INTERATTIVO-COGNITIVISTA, che mira a migliorare le funzioni di base e a potenziare le strategie organizzative e le capacità di autocontrollo.
In sintesi, per costruire o consolidare un’abilità:
–    recepire informazioni;
–    riorganizzare;
–    prevedere/fare ipotesi;
–    immaginare/rappresentare;
–    controllare (processi di: attenzione, organizzazione,integrazione)
–    rielaborare per consolidare l’apprendimento.
Maggiore sarà la consapevolezza (in merito agli obiettivi, finali e intermedi, da raggiungere) da parte del soggetto nel consolidare gli apprendimenti, più la motivazione ad eseguire determinati training terapeutici sarà intrinseca e stabile nel tempo, contribuendo al suo benessere psico-fisico.


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