LA LIS COME MODALITA’ DI COMUNICAZIONE ALTERNATIVA PER BAMBINI CON PDD NON VERBALI

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LA LIS COME MODALITA’ DI COMUNICAZIONE ALTERNATIVA PER BAMBINI CON PDD NON VERBALI

Fabiana Sonnino

Voglio proporvi di seguito la testimonianza di una mamma che usa con il proprio figlio, con disturbo generalizzato dello sviluppo, una modalità alternativa di comunicazione: la lingua dei segni.
Premetto che l’insegnare più modalità di comunicazione ai bambini con problemi di linguaggio, è uso tanto comune in America quanto ancora poco diffuso e molto criticato nel nostro paese.
Per questo voglio diffondere questo argomento, sottolineando che l’applicazione della  LIS ha ottenuto risultati molto interessanti nel nostro lavoro, benche’ richieda sforzi molto alti da parte della rete sociale che accoglie l’interessato, con la convinzione che in una società poliglotta come la nostra, non sia poi un gran sacrificio imparare i rudimenti di un’altra lingua, come la LIS, per facilitare l’espressione di una persona.
Ricordo, onde evitare fraintendimenti: un bambino con questi problemi spesso comunica soprattutto sul qui e ora, argomenti molto concreti e spesso legati alle sue necessità di base. La qualità della sua vita e di chi gli sta intorno, migliora molto se si riesce a comunicare e a relazionare in modo più efficace.
Cos’è la Lingua dei Segni e perché ho deciso di impararla?

Maria Laura Vitali

Mi chiamo Maria Laura e sono la mamma di Maurizio., 9 anni, che presenta un disturbo generalizzato dello sviluppo con un grave ritardo del linguaggio.

Dopo aver lavorato per tanti anni sui suoi problemi comportamentali e cognitivi, era giunto il momento anche di provare a fargli esprimere quello che imparava ma soprattutto quello che provava. Quante volte davanti al suo silenzio ho pensato: “Darei qualsiasi cosa per sapere cosa stai pensando, piccolino”.

Alle persone che curavano Maurizio (Coop. ONLUS Tutti giù per terra), a me, a mio marito e al resto delle persone che gli vogliono bene, non interessava che usasse per forza la voce per parlare, ma era importante che scegliesse un modo per farlo.

Gli abbiamo proposto ed insegnato tutti i metodi comunicativi esistenti:
•    Fotografie che lo ritraevano durante tutta la giornata nelle sue azioni quotidiane, sparse per tutta la casa;
•    Comunicazione aumentativa che consiste in piccole immagini stilizzate da portare ovunque in un quaderno per poter scegliere ed indicare agli altri i suoi bisogni:
•    Estenuanti sedute di logopedia;
•    Scrittura e lettura facilitata al computer
e finalmente, un giorno, qualcuno ci ha proposto di conoscere la Lingua Italiana dei Segni (LIS), usata dalle persone sordomute.

Ho sentito molti genitori chiudersi a riccio dopo la stessa proposta. Dicevano: “mio figlio non è sordomuto, perché deve usare il loro linguaggio?”. Vivevano la proposta come una ulteriore limitazione al loro figlio/a ed avevano paura di isolarlo ulteriormente.
Questo non ci ha mai spaventato. Forse perché non abbiamo mai ritenuto le persone sorde persone sole. Ci sembrava logico che non potendo sentire la propria voce e perciò non potendola gestire, dovessero trovare un modo alternativo per comunicare.

La lingua dei segni non serve solo a gesticolare, ma a comunicare. E’ una vera e proprio lingua e perciò come ogni vera lingua è interessante e affascinante perché nasce dalla cultura e dalle abitudini di persone diverse da noi.
Impararla, mi ha consentito di trovare una scorciatoia per raggiungere mio figlio, ma è stato anche un arricchimento culturale.
Ogni parola italiana ha il suo corrispettivo nella LIS.
Si esprime con il movimento delle mani che i bambini trovano molto divertente (pensiamo alle canzoncine mimate!).

Per i bambini come mio figlio, imparare la LIS ha portato anche altri vantaggi:
•    Per poter ripetere i segni (perciò le parole), Maurizio doveva guardarmi attentamente le mani e questo ha comportato un aumento della concentrazione visiva e miglioramento cognitivo;
•    Allenando le dita e le mani nella posizione e nel movimento giusto per ripetere al meglio il segno, ha reso meno evidente la sua disprassia manuale;
•    Il posizionamento delle mani nel luogo esatto del suo corpo (viso, testa, spalla, pancia) per esprimere il pensiero esatto (bocca=mangiare – occhi=guardare – cuore=voler bene), ha aumentato anche la sua conoscenza corporea.

Dopo il primo giorno di insegnamento mio figlio era già in grado di esprimere 4 bisogni:
1)    Mamma o  papà, voglio mangiare
2)    Mamma o papà, voglio bere l’acqua
3)    Mamma o papà voglio dormire
4)    Mamma o papà mi scappa la pipì

Mio marito ed io non potevamo crederci! Nostro figlio con i segni parlava!!
I suoi scatti di rabbia improvvisi sono diminuiti fino a sparire, a meno che non sia realmente arrabbiato, ma anche questo ormai lo comunica facendoci capire anche il motivo. Le stereotipie sono molto limitate, ma soprattutto le manifestazioni di affetto sono improvvise ed estremamente emozionanti.

A scuola, le sue insegnanti, la sua maestra di sostegno, la psicopedagogista, l’A.E.C. ma soprattutto i suoi compagni, mi chiedono di conoscere segni nuovi per poter comunicare con Maurizio. E’ un piacere scoprire che ognuno di noi è in grado di comunicare con gli altri anche in maniera non convenzionale.

Non sempre avere la voce serve a dire cose che abbiano senso. L’importante è quello che si dice.

Nella mia famiglia, ormai tutti conoscono gran parte del patrimonio linguistico con i segni, per comunicare con Maurizio. Persino la sua bisnonna di 80 anni ha voluto imparare qualche segno per comunicare con lui quando andiamo a trovarla!

Spero che la nostra esperienza possa servire a qualche altro bambino/a ma anche ai suoi genitori. Guardare il mondo e i suoi abitanti anche da altri punti di vista, può aiutare a migliorarlo.

Maria Laura, Marco (mio marito) e Maurizio


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